martedì 12 aprile 2011



Unità, “Via il segreto di Stato sul Sud”

Importante passo avanti verso la verità storica dell’Unità di Italia, per anni coperta dal segreto di Stato.
Il Consiglio regionale della Campania ha approvato all’unanimità l’ordine del giorno per far rimuovere quello che, a tutti gli effetti, resta un ‘Segreto di Stato’ su 150.000 documenti relativi al Mezzogiorno d’ Italia, nel periodo fra il 1860 e il 1870. La Giunta regionale si è impegnata a fare da tramite presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Parlamento affinchè si chiarisca, una volta per tutte, cosa effettivamente sia successo in quel periodo su cui esistono contrastanti ricostruzioni storiche.

Lo ha annunciato Anita Sala, consigliere regionale campano dell’Italia dei Valori e promotrice dell’ordine del giorno.

”A 150 anni dall’Unita’ d’Italia, il Sud ritiene che non possa più reggere l’ impossibilita’ di conoscere quei fatti avvenuti fra gli anni 1860 e 1870. Ancora oggi in diverse realtà del Mezzogiorno e anche della Regione Campania, è aperta una discussione culturale tesa ad una rilettura più puntuale del processo di unificazione nazionale che in particolare ha interessato il meridione. Su tale problematica appare però che non esista ancora la voglia di fare opportuna chiarezza. Pertanto, nonostante interrogazioni parlamentari e solleciti, 150.000 pagine della nostra storia rimangono ancora prive di visibilità. Al Sud si nega dunque l’occasione – conclude Sala – di poter accedere a quelle pagine che potrebbero raccontare la vera storia”.

Quante pagine come quella dell’eccidio di Pontelandolfo restano ancora secretate? Più volte abbiamo scritto su Il Sud della necessità di rivedere l’Unità, anche per restituire dignità alle migliaia di persone trucidate dalle truppe garibaldine o piemontesi. Sarebbero opportune azioni anche dal “basso”, dal popolo per chiedere che l’indegno segreto di Stato che ha condizionato la storia degli ultimi 150 anni venga rimosso. Ma a chi interessa? Vuoi vedere che i meridionali non sono così terroni come li hanno descritti?

Fonte: Il Sud

giovedì 7 aprile 2011



In Sicilia qualcosa si muove...

Non sono solo i leghisti a volere leggi e decreti per tutelare e valorizzare le proprie tradizioni, tranne i soliti i spot pubblicitari per l'inesistente e mai esistita "padania" e in particolare per il periodo elettorale.
Il parlamento siciliano si dà da fare e propone l'insegnamento, nelle scuole di ogni grado, di quello che loro definiscono "dialetto siciliano" anche se è a tutti gli effetti una lingua, che però i signori di palazzo si ostinano a riconoscere come tale per evitare che ciò spiani la strada prima per l'emancipazione e poi per l'indipendenza della Sicilia.
Ogni qual volta che i siciliani cercano di fare qualcosa di buono vengono ostacolati per mantenerli allo stato brado; ora vedremo cosa si inventeranno massoneria & co. per impedire tutto ciò.

Fonte Repubblica

Il siciliano si studierà a scuola ma gli scrittori bocciano la legge.

La commissione Cultura del parlamento regionale approva un disegno di legge che prevede lezioni di dialetto in ogni istituto di ordine e grado. Scettici gli autori dell'Isola. Consolo: "Una bella regressione sulla scia dei lumbard". Camilleri: "Salvaguardiamo l'italiano"
di TANO GULLO

Il dialetto, quello che una volta in classe veniva censurato a suon di bacchettate, non è più un tabù e tra poco potrebbe diventare materia scolastica a tutti gli effetti. La proposta di legge che porta la firma di Nicola D'Agostino, dell'Mpa, approvata ieri all'unanimità dalla commissione Cultura del Parlamento regionale - che prevede per due ore a settimana "la valorizzazione e l'insegnamento della storia, della letteratura e della lingua siciliane nelle scuole di ogni ordine e grado" - ha scatenato subito una ridda di polemiche.

Il più critico è lo scrittore Vincenzo Consolo, il quale vede in questa iniziativa una deriva leghista: "Ormai siamo alla stupidità. Una bella regressione sulla scia dei "lumbard". Che senso hanno i regionalismi e i localismi in un quadro politico e sociale già abbastanza sfilacciato? Abbiamo una grande lingua, l'italiano, che tra l'altro è nata in Sicilia: perché avvizzirci sui dialetti? Io sono per la lingua italiana, quella che ci hanno insegnato i nostri grandi scrittori, e tutto ciò che tende a sminuirla mi preoccupa".

Andrea Camilleri, che dal dialetto ha attinto a piene mani per caratterizzare i personaggi che orbitano intorno al commissario Montalbano, guarda con attenzione ma anche con cautela al disegno di legge che a maggio potrebbe essere approvato dal Parlamento siciliano: "Se rimane entro certi limiti e non asseconda istinti leghisti, va bene. Per essere chiari, sarebbe deleterio legiferare l'obbligatorietà del dialetto. Abbiamo una lingua, l'italiano, che al 90 per cento è stata l'artefice dell'unificazione del Paese, e dobbiamo salvaguardarla. I dialetti sono una grande risorsa per la lingua madre e tali devono restare. Esistono solo perché c'è un idioma condiviso da tutti. Ad esempio, invece di saccheggiare le lingue straniere, basti vedere l'abuso di anglismi oggigiorno, potremmo attingere ai nostri dialetti per innervare l'italiano e per salvare la nostra memoria. Ed è quello che io faccio nei miei romanzi".

Via libera da Enzo Sellerio: "Mi sembra una cosa giusta. Il dialetto e l'approfondimento della nostra storia sono un argine al dissolvimento della memoria. Abbiamo bisogno di tramandare quel che siamo stati e siamo. A patto però di non dimenticare che la Sicilia è parte di un contesto più ampio e, soprattutto, che questo insegnamento non sia a scapito della lingua e della storia d'Italia".

Il più insigne linguista siciliano, Giovanni Ruffino, docente alla facoltà di Lettere a Palermo, esprime grandi perplessità sulle procedure: "Chi hanno consultato gli estensori della legge? Non mi risulta che abbiano coinvolto gli specialisti o il mondo della scuola, il che non depone certo a loro favore. Le problematiche linguistiche e scolastiche non si possono affrontare a cuor leggero. E allora, bene l'iniziativa, ma a patto che ora si proceda con gli strumenti della scientificità. Negli anni Ottanta una legge che introduceva lo studio della cultura e della lingua siciliana nelle scuole durò cinque anni, poi non venne rifinanziata e cadde nel vuoto. La nuova norma potrà funzionare se i docenti verranno formati adeguatamente e se il "siciliano" non verrà relegato in una nicchia".

Ruffino, che all'Università argentina di Rosario sta mettendo a fuoco una disciplina sulla cultura siciliana, aggiunge: "Lo studio del dialetto e della nostra identità deve attraversare ogni disciplina, deve coinvolgere, oltre alla storia e alla lingua, anche le scienze e il resto".

L'onorevole D'Agostino è convinto che la legge verrà approvata entro l'estate: "Non comporta alcun aggravio di spese - dice - e poi c'è una convergenza trasversale in aula. Tra l'altro, senza stravolgere nulla, potremmo usufruire del 20 per cento del monte ore scolastico che la legge Moratti prevede per l'autonomia didattica dei vari istituti. Questa legge ci consentirà di conoscere meglio la Sicilia, la sua lingua e di approfondire alcuni aspetti controversi della nostra storia. La storia, a cominciare dall'Unità d'Italia, non è come ce l'hanno raccontata, ed è giusto quindi agire per riappropriarci di quel che ci spetta".

Argomenti che suscitano il dubbio di Consolo: "Non è che con questa legge si vuole aprire una breccia per dare la stura a un pernicioso revisionismo?".