sabato 3 settembre 2011

Il Sud nelle varie ed eventuali

Fonte Onda del Sud

di Lino Patruno
Uno dice: ma con tutto ciò che sta succeden­do, ci mettiamo a par­lare di Sud? Ma per fa­vore. Del Sud non si deve parlare mai. Anche perché, siccome l’Ita­lia è abbonata ai guai, il Sud è finito sempre nelle varie ed even­tuali, se ne parla alla fine se c’è tempo. E del resto, la filosofia è sempre stata quella della locomotiva del Nord: quando la locomo­tiva parte i vagoni acclusi del Sud partono anche loro. Ciò che contava e conta è che cresca il Nord.

Poi magari si scopre che da dieci anni l’Italia non cresce e a nessuno viene in mente di chiedersi se la locomotiva sia sufficiente. Anzi si incolpano i vagoni, troppo pesanti e dannosi, sgancia­moli al loro destino. E a nessuno che salti invece in mente, come i nostri ferrovieri san­no, che a volte conviene mettere la locomotiva in coda per fare meno sforzo. Cioè far crescere l’Italia dove c’è ancóra tutta la crescita ine­spressa, come si farebbe in qualsiasi azienda dove c’è una sacca di produzione da attivare. Il saggio contadino non si mette mica a stremare la solita terra se ne ha un pezzo incolto da far fiorire.

E’ fallito il principio della locomotiva. O quello, come si dice anche, della marea: se sale, sale per tutti. Perché nessuno vuole ammet­tere che quella locomotiva non andrebbe da nessuna parte senza i suoi vagoni. Il Sud ac­quista ancóra il 60 per cento dei prodotti del Nord. Senza il Sud non ci sarebbe il Nord, senza questo Sud non ci sarebbe quel Nord. Ma allora bisogna chiamarlo col suo vero nome, che è colonialismo: non mi fai crescere per non compromettere il tuo benessere, non mi fai crescere per non avere concorrenza in casa. Tranne dire, come in questi giorni ha detto il solito leghista, che tre quattro regioni man­tengono tutta l’Italia. E bisognerebbe tenerne conto, altrimenti salutano (se pure) e se ne vanno per conto loro.

Il leghista non dovrebbe vantarsene, ma fare l’esame di coscienza. Crescere non è pec­cato, per carità. Ma è peccato crescere ai danni degli altri. Soprattutto quando, com’è inevi­tabile, non si cresce più e si dà la colpa agli altri. E se non cresci e devi ridurre il debito, sei costretto a tagliare sempre di più, non potendo compensare con le entrate. In questi giorni l’Italia sta insomma pagando a lacrime e san­gue anche un suo modello che ha mantenuto intatto il divario fra Nord e Sud. E ora che sono crollati i consumi al Sud, i signori del Nord a chi vendono?

Qualsiasi studente di economia sa che, in questa situazione, bisogna allargare la base produttiva: attivare il reparto che produce po­co o coltivare la terra incolta. Cioè mettere il Sud nella condizione di dare un apporto che ora gli è impedito di dare. Perché per essere concorrenziale ne devi avere i mezzi a di­ sposizione. A cominciare dalle infrastrutture: quelle materiali (investiresti mai nella Cala­bria in cui c’è l’autostrada Salerno-Reggio Ca­labria?), quelle immateriali (investiresti mai dove per farti recuperare un credito la giu­stizia civile ci mette dieci anni?), quelle sociali (investiresti mai dove non c’è l’asilo per tuo figlio o dove la criminalità ti taglieggia in­disturbata?).

Tutto questo non dipende dai meridionali, ma dal mitico Stato. Come definiremmo un Paese con un divario simile del 40 per cento fra Nord e Sud? E in cui, nonostante questo, il suddetto Stato, con governi di sinistra e di destra, non ha mai mantenuto l’impegno di destinare al Sud almeno il 45 per cento della sua spesa in investimenti? E in cui i ricorrenti Piani per il Sud svaniscono inesorabilmente di fronte alle urgenze di badare ad altro, magari destinando i soldi per il Sud alle multe dei lattai padani o ai traghettatori del lago di Gar­da?

Ansima la locomotiva del Nord: non hanno più neanche gli spazi per i capannoni, poi li alzano vicino ai fiumi e ai laghi e si prendono purtroppo le alluvioni come in Veneto. E se questa locomotiva da dieci anni ansima, ci si vuol mettere una volta per tutte in testa che soltanto il Sud potrà salvare il Nord e l’Italia anche? Sì, il Sud, anche se sembra una be­stemmia, visto il pregiudizio.

La Germania ha speso ciò che ha speso per l’ex Germania Est (per la cronaca: 50 volte più della Cassa per il Mezzogiorno) ma non l’ha abbandonata al destino di vagone appresso. E a chi obietta indignato che il Sud non dovrebbe parlare visti “tutti i soldi che vi abbiamo dato”, bisogna ricordare che quella spesa non si è mai aggiunta a quella normale (ordinaria) dello Stato, quindi in gran parte è stata una presa in giro. E a chi incalza ancóra più indignato che il Sud ha sprecato, bisogna ricordare che a spen­dere è stato quasi sempre lo Stato. E che nes­suno può scagliare la prima pietra in un Paese che, benché sia pieno di debiti, continua ad aumentare la spesa pubblica ogni anno.

Invece di continuare a dare al Paese im­migrati, il Sud può dare ricchezza per far crescere tutti. Ed è tanto bravo, il Sud, se lo mettano in testa.

da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 2 settembre 2011

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